Il 2019 si chiude con risultati eccellenti per tutte le Borse mondiali, che in media realizzano le migliori performance annuali dal 1997; ma i risultati sono positivi anche per il comparto obbligazionario e, in modo inconsueto, anche per una materia prima rifugio come l’oro, che riesce a mettere a segno un balzo di quasi il 20%.
Questo boom coordinato di tutti gli asset presenti nei portafogli degli investitori ha essenzialmente tre cause:
- la reazione ad un 2018 molto negativo: l’anno appena concluso è stato speculare a quello che lo aveva preceduto (molto avaro di soddisfazioni per tutte le asset class e con timori per una recessione globale); è normale che, preso atto che gli scenari peggiori che si scontavano non si sono verificati, possa tornare l’ottimismo;
- un mutamento radicale dell’orientamento delle Banche Centrali: la scintilla che ha avviato la ripresa dei mercati finanziari fin dai primi mesi del 2019 è stato il cambio di rotta della Fed, passata progressivamente da un obiettivo di tassi al rialzo, alla neutralità della politica monetaria per poi iniziare con un nuovo ciclo di riduzioni del costo del denaro e, addirittura, lanciare una sorta di nuovo Quantitative Easing in autunno (tuttora in corso). Anche la Bce ha ammorbidito molto il suo approccio, con un progressivo allungamento dell’orizzonte temporale dell’attuale politica di tassi zero e l’avvio di un nuovo piano di acquisto titoli;
- il venir meno di alcune incertezze che gravavano sul contesto globale: le problematiche legate ai dazi Usa-Cina e alla Brexit, che erano cresciute nel corso del 2018, si stanno avviando a soluzione; anche un appuntamento importante come l’elezione del Parlamento Europeo è stato superato senza particolari stravolgimenti nei gruppi politici che avrebbero espresso la futura Commissione.
Queste cause, agendo in contemporanea, hanno avuto un benefico impatto sui prezzi di azioni e bond ma il loro effetto dovrebbe essere ormai in esaurimento; altrettanto non si può dire per i fondamentali dell’economia (i veri driver di lungo periodo) che invece non hanno subito considerevoli modifiche, con le aspettative di rallentamento della crescita globale che sono state sostanzialmente confermate.
Nel 2020 ci troveremo quindi nella scomoda posizione di aver “sparato” buona parte delle cartucce a nostra disposizione rimanendo su un sentiero di crescita economica in progressivo rallentamento e con un sistema finanziario ancora dipendente dagli stimoli monetari. Quest’ultimo aspetto in particolare è causa di preoccupazione, con il rischio di possibile degenerazione in una qualche forma di bolla finanziaria ancora sconosciuta (un cosiddetto “cigno nero”); le aree di maggior criticità a riguardo sono due:
- i continui flussi in acquisto sul mercato azionario dovuti a buyback: secondo vari studi i principali acquisti netti di azioni sul mercato americano negli ultimi 10 anni non sono arrivati né dalle famiglie, né dai fondi pensione ma dalle imprese, che hanno ricomprato sul mercato le loro stesse azioni, in mancanza di impieghi alternativi per i loro ingenti flussi di cassa. Questo processo è stato amplificato dai bassi tassi di interesse che hanno incentivato le società, non solo ad impiegare nei buyback azionari i flussi di cassa netti, ma anche ad indebitarsi per amplificare gli acquisti, indebolendo però la loro struttura finanziaria;
- la dimensione e le modalità di finanziamento degli hedge funds: se in seguito alla crisi finanziaria del 2008 sono aumentati i controlli sulle banche non altrettanto si può dire per i fondi che operano a leva, che sarebbero responsabili del recente fabbisogno di liquidità nel mercato americano dei prestiti interbancari, tenuto finora sotto controllo dalla Fed con interventi di emergenza. A differenza del punto precedente questo fenomeno non è chiaramente misurabile e l’opacità nei bilanci di queste istituzioni potrebbe contribuire a mantenere nascoste eventuali situazioni di stress fino a quando queste ultime non deflagrino in veri e propri crack finanziari.
E’ evidente che entrambe i fenomeni potrebbero aggravarsi considerevolmente in presenza di un cambio nell’orientamento delle politiche monetarie anche se finora ha operato il meccanismo inverso: le banche centrali hanno fatto in modo che non si generassero crisi di liquidità, assecondando questi fenomeni ma diventandone, in un certo senso, loro stesse ostaggio.
Tutto negativo dunque? Non proprio, l’esperienza insegna che i mercati sanno sempre sorprendere, non solo in negativo ma anche in positivo, ed alcuni motivi per essere ottimisti ci sono:
- un rilancio della crescita: i livelli di crescita economica degli ultimi trimestri sono stati molto contenuti, specie in Europa, ed una ripresa del ciclo in risposta agli stimoli monetari e alla rimozione di alcuni elementi di incertezza (come la questione dazi o la Brexit) è plausibile. In particolare il rilancio del commercio globale, vero motore dell’economia, garantirebbe impatti positivi specie per l’economia di paesi esportatori come Germania e Italia;
- una ripresa delle operazioni di M&A: fusioni ed acquisizioni si sono mantenute su buoni livelli negli ultimi anni ma non sono cresciute in linea con l’incremento dei mercati, restando sotto al picco del 2015. Anche i sospetti reciproci tra superpotenze economiche non hanno contribuito a favorirne la crescita ma la recente distensione nei rapporti Usa-Cina potrebbe cambiare radicalmente il contesto;
- una nuova rivoluzione tecnologica: auto a guida autonoma?, 5G?, nuove scoperte nei campi della genetica? nuove applicazioni della robotica? Non si tratta di fantascienza ma di innovazioni già avviate ed in buona parte giunte alla fase di commercializzazione, che contribuiranno in maniera significativa all’aumento della produttività in molti settori dell’economia.
Ma, come sempre, le vere sorprese arriveranno dagli elementi che non abbiamo elencato …
Un augurio a tutti i nostri lettori per un eccellente 2020
C.G.