Il 2019 è stato finora positivo per tutti i principali mercati azionari mondiali che hanno beneficiato di un atteggiamento diventato progressivamente più espansivo da parte delle banche centrali mentre sul fronte dell’economia reale sono aumentati i segnali di rallentamento, sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti. Nello specifico, il mercato azionario italiano ha tratto giovamento dal contesto di tassi ai minimi storici avvantaggiandosi anche di una diminuzione del rischio paese, favorita dalle minori tensioni tra il Governo e la Commissione Europea, ma la crescita ha continuato a latitare, con il PIL sostanzialmente fermo sui livelli dell’anno precedente.
Ma cosa ci dicono in merito i dati di bilancio del primo semestre delle principali società quotate sul listino domestico? Un’analisi dei risultati aggregati di ricavi, margini e utili delle 40 società del Ftse Mib mostra che anche quest’anno si confermano gli effetti del deludente andamento dell’economia con i ricavi che si posizionano su livelli poco superiori all’anno precedente mentre i margini mostrano una crescita contenuta; sugli utili impattano invece in misura rilevante componenti non ricorrenti che rendono difficili i confronti con l’anno precedente, specie nel caso delle industrie (con Fca ed Exor che risentono della plusvalenza straordinaria derivante dalla cessione di Magneti Marelli). I risultati aggregati delle 40 società quotate facenti parte del paniere Ftse Mib mostrano una crescita degli utili del 60,4% per le società industriali e di servizi (ma l’incremento si riduce al 3,5% escludendo Fca ed Exor) mentre le banche mettono a segno un +21,5%, e le assicurazioni crescono del 14,5%. Nel complesso le 40 società incluse nel paniere vedono gli utili semestrali passare da 20,7 a 29,9 miliardi di Euro (+44,2% che si riduce ad un +10,6% se non si considerano Fca ed Exor). Focalizzando l’attenzione sulle singole aziende, ed escludendo la galassia Agnelli, sono Leonardo, Azimut e Prysmian a mostrare i più elevati tassi di crescita degli utili mentre le peggiori performance in termini di variazioni percentuali del risultato netto sono quelle di UnipolSai, St Microelectronics e Bper. Da segnalare infine il ritorno all’utile di Saipem, dopo un 2018 pesantemente influenzato dalle svalutazioni.
I dati analitici evidenziano che quasi l’80% delle società appartenenti alla categoria industria-servizi mostra risultati netti in crescita sull’anno precedente, mentre i segni più sono contenuti tra le assicurazioni (2 società su 3), e le banche (5 su 8).
Per avere un quadro più completo dell’andamento operativo delle aziende considerate è necessario però entrare dettaglio delle determinanti della redditività lorda ossia la crescita (dei ricavi) e i margini percentuali sulle vendite; il nostro modello di analisi, inaugurato nel lontano 2003, prevede le seguenti dimensioni:
- crescita ricavi*: bassa (se inferiore al 5%) o alta (se superiore);
- variazione marginalità lorda **: positiva o negativa;
dall’incrocio delle diverse opzioni si originano quattro diverse categorie di aziende che abbiamo a suo tempo identificato con termini inglesi: stars, cost cutters, growth driven e black holes (si vedano in proposito la matrice sottostante ed il file allegato).
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Crescita ricavi
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Bassa
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Alta
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Variazione
Margini
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Positiva
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Cost Cutters (8)
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Stars (13)
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Negativa
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Black Holes (10)
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Growth Driven (9)
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Dalla distribuzione dei dati relativi al primo semestre 2019 nei quattro quadranti e tra le differenti macrocategorie di aziende è possibile notare che:
- le aziende “stars” tornano ad essere la categoria predominante dopo un primo semestre 2018 che vedeva una prevalenza di “cost cutters”, il fatto che al secondo posto per numerosità si piazzino i “black holes” ridimensiona tuttavia la qualità delle performance soprattutto se si tiene conto del fatto che all’interno di quest’ultima categoria ritroviamo alcuni “pesi massimi” del listino come Eni, Fca, Intesa SanPaolo e Unicredit;
- se da un lato si osserva una maggioranza di società ad “alta crescita” – riquadri di destra della matrice - che sono tornate ad essere la maggioranza (22 contro 18) si riscontra un sostanziale equilibrio tra società con marginalità in miglioramento/in diminuzione ma resta valida l’osservazione del punto precedente relativa al maggior peso specifico delle seconde;
- le società assicurative vedono una totalità di aziende “growth driven” (3 su 3), le banche una maggioranza relativa di “black holes” (40% del totale) mentre tra le società industriali prevalgono le stars (oltre i 40% del totale);
- mentre le macrocategorie industria/servizi e banche mostrano una crescita contenuta o negativa dei ricavi aggregati (rispettivamente +1,7% per le prime e -2,8% per le seconde) le assicurazioni vedono un balzo del volume d’affari del 18,4% (influenzato tuttavia da un netto miglioramento dei proventi da investimenti di Generali);
I risultati confermano, come detto, un’economia ancora in stagnazione con scarse possibilità di crescita organica confermata dal fatto che gli unici casi di crescita di un certo rilievo dipendono quasi esclusivamente da operazioni straordinarie, mentre anche alcune aziende esportatrici, che negli ultimi anni erano riuscite a performare meglio di quelle con un esclusivo focus domestico, hanno subito il rallentamento a livello internazionale.
Passando alle performance azionarie, anche per il 2019 sono stati calcolati i risultati di stars, growth driven, cost cutters e black holes nei primi 9 mesi dell’anno in relazione all’andamento della crescita del volume d’affari e dei margini sulle vendite. Le performance medie delle quattro categorie vedono i seguenti risultati a livello di TRS**** per il periodo Gennaio - Settembre:
- stars +36,00%
- cost cutters +19,48%
- growth driven +29,79%
- black holes +15,81%
Come sperimentato anche in passato è possibile verificare un progressivo abbassamento dei risultati medi nel passaggio da stars a black holes; nelle categorie intermedie (cost cutters e growth driven) quest’anno sono stati premiati maggiormente i secondi ma è possibile notare come queste posizioni si siano invertite più volte nel corso degli anni.
Nel complesso il mercato sembra aver premiato indistintamente tutti (solo 2 società su 40 hanno riportato un TRS negativo): ciò potrebbe dipendere dal fatto che si è abbassato il premio per il rischio paese (lo testimonia anche la riduzione dello spread sui titoli di stato) ma alla lunga la differente qualità nelle performance potrebbe tornare a pesare in maniera rilevante specie in presenza di un ulteriore indebolimento del quadro congiunturale.
C.G.
Note:
* Per quanto riguarda le aziende finanziarie si prendono in considerazione il margine di intermediazione per le banche e i ricavi netti (premi emessi + commissioni nette + utili da investimenti) per le compagnie di assicurazione
** Per marginalità lorda si utilizzano: Ebitda margin per le società industriali e di servizi; risultato di gestione / margine di intermediazione per le banche e risultato prima delle imposte / totale ricavi per le assicurazioni
*** TRS (Total Return to Shareholders): performance azionaria + dividendi (non reinvestiti) nel periodo 01 gennaio – 27 settembre 2019
Nota metodologica
Nel corso del 2019 è entrato in vigore il principio contabile IFRS16 che introduce novità in materia di contabilizzazione dei leasing: ciò ha reso meno significativo il confronto dei dati relativi all’Ebitda margin delle società industriali/di servizi, con quest’ultimo che, in alcuni casi, è risultato maggiore, anche in misura significativa, per la semplice applicazione delle nuove regole. I dati che abbiamo elaborato utilizzano, ove disponibili, dati di confronto omogenei a cura delle società quotate o, se non comunicati i valori confrontabili, prevedono correzioni per sterilizzare l’impatto del nuovo principio contabile; non sempre tuttavia le informazioni necessarie per effettuare dette correzioni sono presenti nelle relazioni semestrali con la conseguenza che alcune classificazioni potrebbero risultarne influenzate.
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