Se nel 2009 la parola magica che ha permesso ai mercati finanziari di ritornare alla normalità è stata credit easing (o quantitative easing per i più tecnici) è probabile che il termine exit strategy, di cui si sta già parlando a livello di vertici tra governatori centrali almeno da settembre, possa essere quello che maggiormente condizionerà i trend di fondo del 2010.
Exit strategy ovvero "strategia di uscita" (sottinteso "dalla situazione di emergenza che ha reso necessario il credit easing"), un modo elegante per definire quello che dovrebbe essere un ordinato rientro alla normalità in termini di tassi e offerta di moneta, evitando di ripetere gli errori del passato (ultimi anni dell'era Greenspan con tassi troppo bassi che hanno poi portato alla bolla speculativa) e scongiurando i rischi di un ritorno in grande stile dell'inflazione. Ma Exit strategy può essere anche letto come processo inverso del credit easing: tassi in aumento, minore offerta di moneta da parte delle banche centrali e sistema economico-finanziario che dovrà imparare a camminare nuovamente con le proprie gambe, senza essere più sorretto dalle stampelle di Fed e Bce.
Finora il sistema finanziario ha dimostrato di rispondere benissimo alle iniezioni di denaro a costo zero delle banche centrali: nella seconda parte del 2009 (così come nel 2005-2007, il periodo d'oro delle merchant bank) la tendenza è stata al rialzo per azioni, materie prime, prezzi dei titoli di stato; il sistema economico ha seguito la tendenza, con un certo ritardo e con tassi di crescita meno spettacolari. Non altrettanto si può dire per il processo inverso: strette monetarie e incrementi dei tassi, che fino a dieci anni fa erano la normalità nel susseguirsi dei cicli economici, negli ultimi tempi sembrano diventati eventi assolutamente catastrofici, con i mercati finanziari nel panico da crisi di liquidità e l'economia che non riesce più a rimanere in uno stabile sentiero di crescita.
Forse la più grossa sfida del 2010 sarà proprio quella di riuscire a tornare a questa normalità, con il sistema in grado di funzionare anche in presenza di denaro più caro e offerta di moneta non illimitata.
Ma come, dove e quando si dispiegheranno le varie exit strategy?
Il come è forse la domanda più difficile a cui rispondere: probabilmente neanche il governatore della Fed ha le idee chiare in merito ma è certo gli ingredienti principali della ricetta di Exit Strategy saranno le scelte prese sul fronte della politica monetaria (tassi di interesse in primis) starà alla bravura del "cuoco" cucinarli assieme ad altre misure (es. regolamentazione dei paradisi fiscali, tassazione della speculazione finanziaria) per renderli più "digeribili".
Per quanto riguarda il dove è probabile che, anche per la sua natura di istituto maggiormente attento alla crescita dei prezzi, sarà la Bce a sperimentare per prima i provvedimenti in oggetto, magari fungendo da guida per le altre banche centrali.
Sul quando infine vorremmo andare controcorrente ed ipotizzare le prime avvisaglie del processo di inversione dei tassi già nella prima metà dell'anno, del resto i mercati sembrano aver già fiutato che l'aria sta cambiando con un deprezzamento dei titoli obbligazionari a lunga scadenza che è già in atto da almeno un mese negli Usa e sembra avviarsi anche nell'area Euro.
Detto questo cosa significherà il processo di Exit strategy per le varie asset class?
Guardando nel passato c'è un anno, il 1994, che forse più di altri potrebbe rappresentare la cartina di tornasole per leggere il 2010: si stava uscendo da una recessione economica (1992-93) che aveva interessato sia Usa che Europa e che era stata curata con tassi eccezionalmente bassi (per l'epoca), i mercati finanziari avevano già iniziato a reagire positivamente nel 1993 anche se il livello di globalizzazione e l'importanza della finanza erano molto più bassi di quelli attuali. Nel 1994 i tassi dei fed funds passarono dal 3% al 5,5% mentre quelli sui titoli governativi americani a 10 anni salirono di quasi due punti percentuali (dal 5,9% al 7,8%) con pessimi risultati in termini di prezzo; sul fronte azionario l'indice S&P 500 ebbe una variazione sostanzialmente nulla rimanendo confinato in un range del +/-5% rispetto ai valori di inizio anno (anche se fu interessato da flessioni abbastanza pronunciate in corrispondenza delle fasi di più intenso aumento dei tassi).
Se lo scenario che ci attende è questo sarà quindi opportuno fare attenzione alle posizioni in titoli a tasso fisso a lungo termine mentre per quanto riguarda la Borsa, in quello che potrebbe essere un anno complessivamente neutrale sul fronte delle performance degli indici, sarà opportuno utilizzare lo stock picking per cogliere le opportunità sul fronte delle singole realtà aziendali.
Il 2010 potrebbe quindi caratterizzarsi come un anno di transizione, durante il quale far decantare gli eccessi dei due anni precedenti, lavorare più a livello micro che macro e preparare un nuovo modello di crescita; del resto proprio nel 1994 si posero le basi per la straordinaria crescita del quinquennio successivo.
Auguri a tutti i nostri lettori per un 2010 ricco di soddisfazioni
C.G.